Millenarie, sacre, adorate, temute, scambiate, indossate: le perle di vetro hanno una storia antichissima e avventurosa, strettamente legata a tutte le culture umane e alla città di Venezia in particolare, che per tre secoli è stata la capitale assoluta nella produzione e nella diffusione delle perle.
La prima manifattura documentata del vetro risale al II millennio a.C. ed è localizzabile in Egitto, dove fu impiegato per la produzione di stoviglie, utensili e monili. Gli affreschi ritrovati nella tomba di Beni Hasan documentano che in quel tempo (tra il 1987 e il 1780 a.C.) l’arte della soffiatura del vetro era conosciuta e fiorente.
Dall’Egitto, per opera dei commerci micenei e fenici, l’arte della lavorazione del vetro si estese in tutta l’area del Mediterraneo Centrale, mentre parallelamente si svilupparono centri di produzione in Mesopotamia, in Siria, in India e in Cina.
In Italia i primi insediamenti di artigianato della lavorazione delle perle di vetro risalgono all’epoca tardo-romana. Probabilmente la città di Aquileia, antico porto romano importante per i commerci con l’Oriente, fu uno dei primi centri di produzione e da lì la conoscenza del vetro si diffuse a Venezia, dove i più antichi manufatti risalgono al XIV secolo.
Se in un primo tempo la produzione delle perle di vetro fu marginale e limitata alla creazione di rosari, nel secolo successivo divenne di enorme rilievo per l’economia veneziana a causa di due fattori: da un lato, l’invenzione di nuovi metodi di lavorazione e decorazione delle perle permise una produzione di massa ed estremamente variegata; dall’altro, i viaggi di esplorazione del XV secolo favorirono la diffusione in tutto il mondo delle perle veneziane come monete e merce di scambio.
In assenza di una valuta comunemente accettata infatti, il commercio mondiale si basò per secoli sullo scambio di merci. Le perle di vetro, essendo non deteriorabili, resistenti, desiderate e apprezzate in tutto il mondo, diventarono così la moneta per eccellenza.
In Africa, con le perle di vetro si potevano acquistare olio di palma, pelli, oro, cibo e addirittura schiavi.
Le perle veneziane erano particolarmente ricercate, ma ciascuna cultura africana aveva gusti molto differenti, e commerciava solo alcune tipologie di perle. Gli esploratori europei dovevano scegliere con cura la quantità e la tipologia di perle da portare con sé nei viaggi, da utilizzare per commerciare con le diverse tribù. Per dare un’idea dei quantitativi di perle coinvolti, citiamo ad esempio la spedizione diretta verso il lago Turkana dell’esploratore ungherese Samuel Teleki che nel 1887 partì per la costa orientale dell’africa con duecento portatori, i quali trasportavano sulla testa un carico che comprendeva ben 2300 kg di perle di vetro, oltre a 24.000 metri di stoffe e 3300 kg di filo metallico.
Alla fortuna delle perle di vetro, oltre alla bellezza incorruttibile dei disegni e dei colori, contribuì anche il valore dato dal significato attribuito ai segni in esse inclusi, interpretati in senso apotropaico e scaramantico a protezione degli spiriti del male.
Ogni colore, ogni disegno aveva un preciso significato, come la decorazione “a occhi”, sicuramente la più diffusa per millenni, presente dall’epoca fenicia ininterrottamente fino al periodo bizantino e islamico.
Nel mondo africano, la credenza nel malocchio e l’uso di amuleti a forma di occhio, atti ad allontanarlo, trovarono (e trovano tuttora) la loro espressione più sentita.
A partire dal 1570 i Veneziani arricchirono ulteriormente le tecniche di produzione delle perle introducendo la lavorazione al lume, grazie alla quale si possono ottenere infinite variazioni decorative.
Le perle di Venezia divennero le più commerciate e scambiate durante il periodo coloniale, ma subirono un drastico declino durante il secolo scorso a causa della produzione industriale e della concorrenza dei produttori stranieri, soprattutto indiani.
Grazie al lavoro e alla passione di alcuni maestri veneziani di cui vi parleremo prossimamente, al giorno d’oggi in laguna esiste ancora una tradizione eccellente di creazione di perle di vetro e luoghi dove imparare le tecniche di lavorazione.
Peccato però che la Serenissima non faccia nulla per tutelare i propri maestri, e la città sia invasa da vetri di scarso valore provenienti dall’Oriente, che rendono difficile scovare i veri capolavori in mezzo alla produzione industriale di massa.